Sant’Alessandro Sauli è una figura davvero eccezionale di quel secolo, il Cinquecento, che, tra le
luci e le ombre della non facile vita ecclesiale e sociale del suo tempo, cercava di imboccare, con
rinnovato vigore, il cammino di fede tracciato dal Concilio di Trento, nel tentativo di superare le
pastoie poste dalla questione protestante. Proprio allora «Quando tutto sembrava perduto – rilevò
accortamente il Pastor, nella sua monumentale opera Storia dei Papi – cominciava tutto quietamente
una piega in meglio»1. E così fu!
Alessandro nacque il 15 febbraio 1534, quattro anni prima di San Carlo Borromeo – le loro
vicende si intrecceranno indissolubilmente – dall’ottima, aristocratica famiglia milanese dei Sauli.
Crebbe in fretta, anche fisicamente, in altezza e nella corporatura che si fece presto massiccia, celando
bene agli sguardi superficiali il suo vero stato di salute, all’opposto cagionevole.
Fin da piccolo rivelò quella fermezza di carattere e quella nobiltà d’animo che parevano fluire armoniosamente dallos guardo profondo dei suoi occhi azzurri e vivaci, incastonati tra i folti capelli di gioventù, biondissimi:
piccolo indizio, anche questo, di una particolare distinzione di tratto e di valore, che a breve egli
rivelerà al mondo intero con l’assunzione coraggiosa dell’episcopato di Aleria in Corsica, dove faticò
più di tanti altri suoi illustri contemporanei, correndo come “un matto” – vero campione della Chiesa
post-tridentina – «verso Dio e verso il prossimo»4. «Per lui l’ideale episcopale voluto dal Concilio di
Trento è divenuto realtà», riconoscerà, senza troppi fronzoli, il Proprio della Diocesi di Aiaccio
nell’edizione del 1986, confermandoci che il Santo è proprio così: uno di noi, come noi, ma dal passo
più veloce, in quanto sospinto dall’amore. Per questo ancora oggi Sant’Alessandro Sauli lascia attoniti
coloro che si cimentano a voler ripercorrere, seppur a parole, le tappe più significative della sua santa e
sacrificata esistenza. spingeva fino agli estremi lembi della sua diocesi di Pavia6.
La Chiesa riconoscente, dopo averlo fatto proclamare beato il 23 aprile 1741 per opera di
Benedetto XIV, riconobbe la sua santità elevandolo agli onori degli altari ad opera di S. Pio X l’11
dicembre 1904, assieme al redentorista Gerardo Maiella. Da allora in Corsica fu chiamato Santu
Lisandru. E fu dichiarato patrono degli studi e degli studenti barnabiti. Le sue spoglie mortali oggi
riposano nella magnifica cappella fatta costruire dai fratelli Pio e Angelo Bellingeri nel Duomo di
Pavia.
Il generalato del Sauli rappresentò un momento di vera rinascita dell’Ordine, che uscì così dal
disorientamento provocato dal bando dalle terre venete nel 1551, grazie anche al grande contributo di
San Carlo Borromeo, che tanto amava i Barnabiti: «Voi sapete – scriveva all’Ormaneto – quanto
grande è il servizio che il Signore Iddio riceve in questa mia Chiesa dai Padri di San Barnaba, e quale
è la protezione che ne tengo io per la vita incolpata e i santi esercizi loro…». Si comprende pertanto il
grande sgomento che colse i Barnabiti quando se lo videro portare via come Vescovo. Lo stesso San
Carlo, che li conosceva bene, intercedette per loro scrivendo direttamente al Papa Pio V: «Non posso
mancare di sottoporre a Sua Santità l’affanno grande in cui si trovano i Padri di San Barnaba, per il
danno grande che con la perdita di quest’uomo verrà alla loro Congregazione, la quale ora dipende
dal suo prudente governo ed è aiutata assai dalla sua dottrina, nella quale – per dire il vero – egli non
ha uguale».
Ma nulla poteva fermare la volontà di Dio, che attraverso il suo Vicario in terra ricercava
fra gli Ordini religiosi uomini degni da elevare all’episcopato. Alla morte di Pier Francesco Pallavicini,
Vescovo di Aleria, il Pontefice Pio V pose gli occhi proprio sul Sauli come suo capace successore in
quella non facile diocesi della Corsica: una delle più sguarnite della Chiesa, con isolani imbarbariti
dalle guerre, e il cui solo nome faceva venire la pelle d’oca! Non conosciamo i motivi della sua scelta,
dal momento che il Papa probabilmente lo aveva incontrato solo di sfuggita a Milano. Ma quello che
più importa è che egli nutriva una smisurata fiducia in lui, come testimonia il cardinale Cicada
scrivendo al Doge di Genova il 27 gennaio 1570: «Mi disse ieri Sua Santità istessa, tutta piena di
speranza, che con la virtù di questo buon Prelato si debbe introdurre in quell’isola la dottrina
cristiana, a lode di Dio et benefizio di quell’anime».
Fuente: Fellipo Lovison
0 comentários:
Publicar un comentario